Il primo diamante sintetico: la scoperta di General Electric nel 1954

I primi diamanti non naturali furono prodotti nei laboratori della General Electric nel dicembre 1954.

Fin dagli esperimenti di Lavoisier e Tennent (quando Tennant dimostrò che il diamante è costituito esclusivamente da carbonio elementare confrontando il volume di anidride carbonica formato dalla combustione di identici pesi di carbone e diamante), scienziati e ingegneri sapevano che era necessario sottoporre il carbonio a enormi quantità di calore e pressione per trasformarlo in diamante, ma il modo in cui riuscirci richiedeva non poche prove ed errori.

Come hanno dimostrato gli esperimenti di Hannay, Moissan e persino Parsons, creare immense quantità di pressione è difficile, se non addirittura pericoloso. Ma i loro primi progetti sperimentali non erano affatto difettosi: avevano solo bisogno di tecnologie e di produzione diverse per poter creare quelle pressioni in laboratorio.

Il contributo di Percy Bridgman, il progetto Superpressure e gli esperimenti iniziali

La svolta arrivò grazie al fisico americano Percy Bridgman, vincitore del Premio Nobel, che sviluppò un pistone idraulico verticale in grado di comprimere un cilindro e generare una pressione di 4.200 atmosfere tramite un complesso sistema di incudini.

Per anni, nel laboratorio di Bridgman a Harvard, si potevano osservare buchi nei muri causati dall’esplosione del contenitore – affettuosamente soprannominato “La Bomba” – che proiettava materiali nelle pareti. Secondo le cronache, Bridgman, per superstizione, non volle mai far riparare quei buchi.

Sebbene Bridgman non abbia sintetizzato i diamanti (nonostante i ripetuti tentativi), la sua sperimentazione ha comunque portato alla loro sintesi da parte degli scienziati della General Electric Company (GE) nel 1955. Senza le sue scoperte, il lavoro ad altissime pressioni non sarebbe stato possibile.

Infatti, negli anni ’40, il General Electric Research Laboratory di Schenectady, New York, era diventato il fulcro della ricerca sui diamanti sintetici, riunendo esperti di chimica, fisica e ingegneria industriale. Il progetto, denominato in codice “Project Superpressure”, era avvolto dal segreto e tutti i membri del gruppo avevano l’obbligo di riservatezza.

Ispirandosi al lavoro di Percy Bridgman, il progetto Superpressure utilizzò diversi tipi di apparecchiature nei suoi esperimenti. Per lungo tempo, il team dedicò tempo, sforzi e risorse straordinarie per creare diamanti sintetici e, soprattutto, per perfezionare un metodo di produzione replicabile su scala industriale. Tuttavia, con il passare del tempo, la dirigenza della General Electric iniziò a temere che la produzione di diamanti potesse rivelarsi poco più di una trovata pubblicitaria o, nel peggiore dei casi, un costoso fallimento. Entro il dicembre 1954, il team aveva bisogno di risultati concreti e tangibili – diamanti – al fine di poter giustificare il proseguimento del progetto.

La sera dell’8 dicembre 1954, Herbert Strong avviò l’Esperimento 151, impostando l’apparato a cono di pressione a un valore stimato di 50.000 atmosfere, aumentando la temperatura fino a 1250°C (2282°F) e inserendo una miscela di carbonio e ferro insieme a due piccoli diamanti naturali utilizzati come cristalli “seme” per favorire la crescita di diamanti.

La procedura non era dissimile da quella utilizzata decenni prima da Hannay, con la differenza che Strong impiegava cristalli seme. Nella maggior parte dei tentativi precedenti, Strong aveva limitato la durata degli esperimenti a poche ore al massimo. Questa volta, però, decise di lasciar funzionare l’Esperimento 151 per un periodo più lungo, imitando il processo naturale che impiega milioni di anni per creare i diamanti, e di lasciarlo attivo per tutta la notte.

La scoperta e il primo successo

La mattina del 9 dicembre, i due cristalli seme uscirono intatti e senza alcun cambiamento visibile. Tuttavia, una massa della miscela di ferro e carbonio si era fusa a un’estremità della provetta. Strong inviò quella massa al reparto di metallurgia per farla lucidare. Il reparto metallurgico rispose il 15 dicembre informando Strong che non erano riusciti a lucidare il campione, perché stava distruggendo le ruote di lucidatura. Qualunque cosa contenesse quella massa, era estremamente resistente e dura – abbastanza da danneggiare gli strumenti della metallurgia – e solo un diamante poteva essere così duro.

Il 16 dicembre 1954, Howard Tracy Hall condusse un esperimento simile a quello di Strong utilizzando una tecnologia già consolidata: una pressa ad alta pressione chiamata “belt”.

Hall preparò una miscela composta da due cristalli di diamante utilizzati come seme, solfuro di ferro e un cilindro riscaldante in grafite.

Seguendo scrupolosamente il protocollo che aveva sviluppato dopo mesi di lavoro con l’apparato, collocò sottili dischi di metallo di tantalio tra il campione e le incudini della pressa per facilitare il passaggio della corrente e riscaldare il campione.

L’intero sistema fu portato a 1600°C (2912°F) sotto una pressione di 100.000 atmosfere. L’esperimento durò 38 minuti.

La conferma finale e il progresso della ricerca

Dopo aver rimosso il campione dalla pressa, Hall lo aprì e osservò un punto in cui si era spaccato vicino al disco di tantalio. Notò dei lampi di luce provenire da cristalli a forma di ottaedro attaccati al disco. Riguardo alla scoperta, Hall dichiarò: “Le mie mani iniziarono a tremare, il cuore batteva all’impazzata, le ginocchia cedettero e non riuscivano più a sostenermi. Fui sopraffatto da un’emozione indescrivibile e dovetti cercare un posto dove sedermi!”. Per Hall, non c’erano dubbi: finalmente l’uomo era riuscito a creare diamanti.

In pochi giorni, dopo anni di ricerche, General Electric si trovò con due metodi potenziali per fabbricare diamanti sintetici. La domanda principale non era più se fosse possibile produrre diamanti, ma quale dei due approcci fosse replicabile e quindi più affidabile. Nonostante i tentativi di riprodurre i risultati di Strong, il suo metodo non diede più frutti.

Secondo Strong, una possibile causa del successo dell’Esperimento 151 poteva essere una variazione significativa della temperatura durante la notte, un evento fortuito che non si riuscì più a replicare.

Hall, al contrario, riuscì a verificare i propri risultati con il collega Robert Wentorf, replicando il processo con successo venti volte in due settimane utilizzando la pressa belt da 400 tonnellate. Il 31 dicembre 1954, il fisico Hugh Woodbury confermò la metodologia di Hall per la produzione di diamanti.